A EGREGIE COSE
Da quando ho letto " Cambiare l'acqua ai fiori" della scrittrice francese Valerie Perrin, le mie visite al cimitero sembrano avere assunto un nuovo sapore.
Non è più un mesto peregrinare in un luogo doloroso, scavando dentro di te alla ricerca di immagini struggenti, dilaniata dai sensi di colpa per ciò che hai fatto o che avresti potuto fare: "Il passato è il veleno del presente. Rivangare vuole dire un po' morire",
ed ogni volta era come rivivere quella morte.
Ma da un po' non è più così, ormai mi sono riappacificata col passato e varcare quel cancello è diventata un' immersione nella più totale serenità, una passeggiata in un' oasi di pace, attraverso lapidi immutabili che ti danno un senso di sicurezza, nulla può più scalfirti, ritrovi una nuova carica per affrontare con maggior distacco le vicende e gli affanni che ti aspettano fuori, oltre quella silenziosa distesa.
Per una volta cambio strada e, nella mia consueta visita settimanale, imbocco un viale mai percorso.
Lo seguo volgendo lo sguardo ora a destra, attratta da quella tomba stracolma di fiori freschi, ora a sinistra, per leggere l' età che aveva quella bellissima ragazza quando ha raggiunto nuovi spazi.
Il viale sfocia in un piazzale al cui centro si erge un tempio, costituito da un emiciclo di colonne, un monumento al milite ignoto, su cui campeggia una scritta in latino, che suona più o meno cosi':
"La croce di Cristo apre le braccia alle ossa sconosciute" .
E tutto intorno al tempio, come petali intorno a un pistillo, le tombe dei grandi salernitani.
Comprendo adesso profondamente il sentimento provato dal Foscolo nella basilica di Santa Croce a Firenze:
"a egregie cose il forte animo accendono l'urne dei forti".
Finalmente scopro l' identità di Matteo Luciani, fino ad ora per me solo intestatario della piazza dove si affaccia il teatro "Verdi".
Come leggo dalla solenne lapide , fu il primo sindaco di Salerno, dopo l' unità d' Italia, senatore del Regno d' Italia, ma soprattutto medico indefesso, che combattè strenuamente l'epidemia di colera che si abbattè sul nostro territorio nel 1837.
Da primo cittadino realizzò opere pubbliche fondamentali per la città, in primis l' illuminazione a gas delle strade.
A lui dobbiamo la realizzazione del nostro amatissimo corso Vittorio Emanuele e il teatro massimo cittadino.
Proseguo, rapita, nel mio giro e più a sinistra scorgo la tomba del marchese Giovanni Ruggi D' Aragona, che donò ai suoi concittadini un nuovo ospedale, che porta ancora il suo nome, ma che ahimè, è rimasto fermo al 1870.
Vibrante l' iscrizione lapidaria di un altro grande chirurgo salernitano, Guglielmo Guglielmi , di onestà adamantina e di trepidante amore verso gli umili: "quando hai versato la tua anima nell' anima affannata e hai reso la pienezza all' anima che soffre, la tua giustizia s' eleva e splende come un' aurora".
Ma non sono solo i medici, presenti nel giardino dei grandi, ci sono anche principi del foro, come Arturo De Felice o artisti come il pittore Raffaele Tafuri e Mario Carotenuto. E forse proprio l' iscrizione sulla più recente delle lapidi, quella del maestro, appare la più vera e consolatoria:
" La notte non è nera, ma ha tanti colori.
C'è una luce misteriosa malgrado il buio.
Spegni la lampadina e guarda dalla finestra ".
E sulla pietra il disegno di un davanzale su cui poggia una candela, a destra una conchiglia e sullo sfondo la distesa immensa del mare di un intenso blu cobalto.
Luigia Sisella Coppola
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